martedì 9 ottobre 2012

LOVE FOR ALL, HATRED FOR NONE




LOVE FOR ALL, HATRED FOR NONE

La musica aperta al cambiamento è una musica che accoglie la vita, è accettazione, è volontà che
sia così.
È il colore che irrompe nella quotidianità, è la pennellata materica che vuole prender forma.
È una richiesta folle d’esser vita per uscire dalla tela e divenir altro, così come sembra folle la
libertà che debella ogni ordinante categoria e stride contro l’ ovvio, lo scontato, che omologa ed
assorbe in sé ogni attraente nota sconosciuta.
Ma sarà invece in nome del nuovo e del dinamismo che nel mese di ottobre Milano e Torino
ospiteranno un Maestro della musica Jazz, Maestro con la “M” maiuscola perché ha cercato
il suo meglio nel proprio essere, lo ha interrogato per tutta la sua esistenza come un filosofo
interrogherebbe il cosmo e gli ha procurato la sua più adeguata melodia ogni volta.
Si tratta di Yusef Lateef, poliedrico strumentalista che nella continua ricerca individuale e nella più
passionale curiosità si è guadagnato nuove frontiere. Ma quali sono suddette, presunte frontiere?
A quanto pare, a Lateef, non serviva percorrere chissà quale distanza fisica, la sua frontiera più
ambita consisteva nel comunicare se stesso attraverso la musica, “semplicemente”; melodiche
poesie senza verbo sono espressione del suo animo mistico e filosofico.
Per farlo i suoi viaggi si son tradotti in una lunga, paziente sperimentazione che potesse esprimere
l’ identità interiore, ha attinto variamente da un repertorio musicale inedito come il Raga (musica
classica indiana), indagando nuove sonorità nel flauto. Senza mai venir meno alla sua sete di
conoscenza, impiegò strumenti che l’ Occidente aveva dimenticato nel tempo: il Rabat (particolare
strumento a corda originario della Siria). Talvolta il proprio va scovato osando.
La commistione degli stili e degli strumenti è l’ essenza che abbraccia la metamorfosi, è ogni
possibile identità che si organizza e riorganizza nel rapporto diretto con l’ autore, secondo l’ hic
et nunc . E del resto cosa vogliamo catturare col termine Jazz? Cosa vogliamo definire una volta e
per sempre? Non siamo di fronte ad un ritornello di cui possiamo ben prevedere il prossimo giro di
accordi, né un genere che si lasci facilmente acchiappare se pensiamo che una volta in circolazione
si è già trasformato in altro. È un processo di creazione in atto, singolare ed immediato, che porta
fuori di sé la spontaneità, il vero, senza costrizioni predeterminate.
Per Lateef la musica è espressione sia del mondo interiore, sia della mente, è un ponte con cui
raccordare il mondo con ciò che si è.
Non deve stupire allora se per la magica occasione, 19 Ottobre a Milano e 22 Ottobre a Torino, la
musica incontrerà una delle sue sorelle Arti. Nello specifico Mauro Modin esporrà innumerevoli
lavori dedicati alla musica Jazz, senza la quale proprio non può vivere (Cit.), ma anche ai Grandi
che l’ han prodotta, ognuno nella sua interpretazione, secondo un proprio sentire.
Mauro Modin, infatti, abbraccia senza indugio l’ esempio umano del Maestro. Le sue opere non
si lasciano intrappolare dalla macchina frenetica della moda, preferendo uno stile personale,
energetico e passionale, in cui la tecnica è subordinata alle leggi del cuore, ma sempre varia e
sperimentale, per cogliere la varietà dei colori in cui si dispiegano le sensazioni.
Differentemente, le mode vanno e vengono, e nella loro serialità perdono la rarità iniziale che
le ha originate. Messaggio di non poco spessore dal momento che ci suggerisce una riflessione:
l’ attenzione per l’indagine, il non scontato, per scavare, scoprire e provare, continuamente in
tensione interiore, ciò a cui noi veramente tendiamo, perché anche la pittura è strumento di
conoscenza, diviene un’ esperienza: è un’ esperienza che prima di tutto ha sede nello spirito.


Modin passa da tonalità soft, in cui lentamente il colore sembra dissolversi fino ad assumere
le connotazioni di un negativo fotografico ritornando dalla stesura alla tela, a tonalità davvero
più marcate, poste in risalto accanto a sprazzi di tela non dipinta, ma comunque parte attiva nel
quadro. Solchi, segni, graffi attraversano interamente i volti, ne sottolineano le curvature del
mento, del naso, le guance, gli occhi. Sembrano volersi imporre sulla delicatezza poetica del canto
e della melodia, affermando quel minimale grafismo che concorre a far emergere la commistione
tecnica.
Scarso è l’ uso del nero, che l’ artista concepisce essere una scorciatoia, una mancanza di
positività, costringendo l’ osservatore a perdersi nell’ oscurità. La pittura è anche per lui un mezzo
di comunicazione, come del resto lo è la musica, quando ha origine nella verità ed il suo messaggio
è sincero. Non è concepibile una vita senza profondità, senza volume!
Ugualmente non si avranno opere modiniane uguali l’ una all’ altra, così come non vi sarà
pianificazione alcuna alla libera creatività. Farà uso di tutti gli strumenti in suo possesso per
conferire profondità alle sue visioni ispiratrici dando un’immagine eclettica del suo operare. Il
pennello è solo uno dei tanti, perché nel libero uso del collage le sedie ignote, a dispetto dell’
identica struttura, acquisiscono dignità artistica, soprattutto verrà donata loro un’ identità,
una peculiarità importante. Accesi cromatismi sono accostati l’ uno all’ altro, mentre volti
famosi parteciperanno sorridenti alle serate, a vederli esposti tutti assieme sembra di trovarsi a
trascorrere una brillante serata in compagnia di molti invitati, evocanti un’ atmosfera di festa e,
personalmente, ho avuto la sensazione che avrei potuto sentirli cantare da un momento all’altro,
o ridere giocosamente tra di loro, come accade nella condivisione di eventi e gioie tra vecchi ed
intimi amici. E così, loro si faranno tanto reali, quanto vi è in loro di naturale nel condurre un
concerto o suonare la tromba, il pianoforte, la fisarmonica, il flauto. Ne si potrà percepire tutt’
attorno un entusiasmo frizzante, contagioso, di cui erano i protagonisti. Ipse dixit: “LE MIE OPERE
SONO UNA RICERCA DI POSITIVITà”.
È un omaggio, un ringraziamento pregno di rispetto alla presenza di Y. Lateef , che all’ età di
novantadue anni ancora porta con sé l’ amore per la musica e per il mondo. Per comprendere
chi avremo di fronte al Teatro Verme e al Teatro Colosseo forse una piccola citazione è doverosa,
a ricordarci anche il perché della scelta di tale memorabile evento. Mi riferisco all’ aneddoto di
Franco Ghizzardi, amico di Mauro, quando portò Yusef Lateef ad esibirsi a Monza nel 2007, all’
età di ottantasette anni: “ Lateef ha attraversato Monza, ha dato cinque euro ad uno fuori della
chiesa, poi è entrato. È stato in meditazione dieci minuti in una chiesa cattolica perché lui è un
vero mistico, è un Sufi. Guarda, guarda il suo biglietto da visita…”. Nel suo biglietto da visita si
legge: “ Love for all, hatred for none” (amore per tutti, odio per nessuno).
Franco Ghizzardi ha dato egli stesso le ragioni che lo hanno spinto a mettersi in gioco quando, alla
domanda: “Cos’è per te il Jazz?”, ha risposto: “Mi sono avvicinato al Jazz intorno ai 18-19 anni, prima

non capendolo lo detestavo, poi come Paolo sulla strada di Damasco sono stato folgorato. Un nome su
tutti John Coltrane ed il grandissimo Yusef Lateef suo amico, con il quale sono legato da un stretto legame
musicale e spirituale. Che cosa e' per me il Jazz ? E' come una religione dell'anima chiaramente. E' la musica
che sempre avevo dentro e non me ne rendevo conto, e' quella musica che scandisce i momenti belli e
brutti della vita”.

Ghizzardi è un paladino della tolleranza e la sua meta più grande è diffondere questo gioioso fascino,
condividerlo per esserne tutti partecipi. L’ organizzazione, inutile dirlo, ha richiesto molto zelo e molta
fatica, ma ogni strada che proviene dal cuore trasformerà i ciottoli in piume.
La congiunzione Mauro Modin e F. Ghizzardi è avvenuta per la comune passione che ha cambiato le loro
vite, sotto l’ insegnamento del Maestro per cui la musica ha ancora un’ aura profondamente meditativa,
autentica.

Angela Zenato

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